Oggi desidero presentarvi le più belle poesie d’amore di Heinrich Heine, poeta tedesco dall’animo romantico, che però non cadde mai nel sentimentalismo fine a se stesso, ma seppe cantare l’amore in maniera ironica e disincantata con la lucida razionalità che il periodo storico in cui visse esigeva.
Heinrich Heine è spesso ricordato come il poeta della contraddizione per via del delicato romanticismo che esprime in certi suoi componimenti a cui fa da contraltare la critica pungente e senza sconti di certi atteggiamenti esageratamente sdolcinati…
Dichiarazione
Oscura calava la sera,
ruggiva il mar piú selvaggio.
Io sedevo alla spiaggia e guardavo
la candida danza dell’onde,
e il mio petto si fe’ tempestoso
come il mare, e bramosa mi colse
la nostalgia profonda
di te, soave imagine,
che dovunque mi aleggi d’intorno,
e dovunque mi chiami,
dovunque, dovunque,
nel sibilar del vento,
nel muggito del mare,
e nel sospiro stesso del mio petto.
Con una canna leggera
io scrissi sull’arena:
‘Agnese, io t’amo!’.
Ma l’onde cattive
si versarono sopra la dolce
confessione e la spensero.
Oh fragile canna, volubile arena,
oh labili onde, di voi
io piú non mi fido!
Il cielo diventa piú oscuro,
il mio cuor piú selvaggio,
e con valida mano dai boschi
della Norvegia io divelgo
l’abete piú eccelso, e l’immergo
nella gola rovente dell’Etna.
Con tale penna gigante
nel fuoco intinta io scrivo
sulla volta del ciel tenebrosa:
‘Agnese, io t’amo!’.
Quindi ogni notte lassú
l’eterna scrittura fiammeggia,
e tutte le future
progenie dei nipoti, giubilando,
leggeran le celesti parole :
‘Agnese, io t’amo!’.
Oh non giurare
Oh non giurare e dammi sol dei baci;
non credo al giuro di una donna:taci!
Dolce è la tua parola, ma più assai
il bacio che dal labbro ti strappai!
Nel bacio io credo, il bacio che m’hai dato;
la parola è soltanto un vano fiato.
Oh giura, mia diletta, quanto vuoi;
io credo in tutto ai giuramenti tuoi!
E se la testa affonda nel tuo seno,
credo allora che son felice appieno;
credo allora, diletta mia, che tu
m’ami in eterno, e forse anche di più.
L’antico sogno
Ed ho sognato ancor l’antico sogno:
in una bella notte a primavera
a piè d’un tiglio noi seduti s’era,
ci giuravamo eterna fedeltà.
Era un giurare e un rigiurar di nuovo,
e un carezzarci e un ridere e un baciare,
e perché il giuramento a ricordare
avessi mi mordesti sulla man.
Oh piccolina dagli occhietti chiari!
oh bella bimba dagli acuti denti!
sono di prescrizione i giuramenti,
ma il mordere è superfluo, non ti par?
Perché son così scialbe le rose
Perché son cosí scialbe le rose,
oh dimmi, amor, perché?
Perché mai fra l’erbe odorose
le viole taccion, perché?
Perché mai dell’allodola il trillo
sí mesto scende a val?
perché mai su da timo e serpillo
odor di morte sal?
Perché non manda l’usato calore
il sole imbronciato dal ciel?’
sulla terra perché tal grigiore
e delle tombe il gel?
Perché son sí cupo, torbido anch’io,
mio dolce amore, di’!
Oh dimmi, soave amor mio,
perché m’hai lasciato cosí?