Festa della mamma, poesie d’autore per degli auguri speciali

Le poesie d’autore per la Festa della mamma sono tantissime! Piccoli componimenti per fare degli auguri speciali alla persona più importante della nostra vita! Tra i versi più famosi sicuramente quelli delle poesie di Neruda e le poesie sulla mamma di Eduardo De Filippo. Tra le poesie per la mamma in rima anche quelle in napoletano, da recitare insieme ai più piccoli, se hanno dimestichezza con questo dialetto. Cosa aspettate, quindi? Scegliete tra le poesie brevi, gli aforismi e i componimenti in versi più lunghi dedicati alla mamma!

Poesie per la Festa della mamma brevi

Tra le tante poesie per la Festa della mamma, anche quelle brevi, che non sono troppo difficili per i bambini. Sono comunque poesie di autori celebri, per degli auguri davvero speciali!

La mamma
(di Ada Negri)

La mamma non è più giovane
e ha già molti capelli
grigi: ma la sua voce è squillante
di ragazzetta e tutto in lei è chiaro
ed energico: il passo, il movimento,
lo sguardo, la parola.

Poesia sulla mamma
(di Rabindranath Tagore)

Il sonno di un bambino
Il sonno che scende
su gli occhi di un bimbo,
sa, qualcuno, di dove venga?
Sì, dal villaggio delle fate,
all’ombra di foreste illuminate
dal chiarore delle lucciole…
Di là viene a baciare
gli occhi del mio bambino.

Dalla finestra
(di Giuseppe Fanciulli)

Dalla finestra vedo un fresco prato,
vedo la strada, il campo seminato,
e gli alberi nel sol della mattina,
le case nuove e la bianca chiesina.
Volan gli uccelli in lieta compagnia,
su per l’azzurro del cielo profondo;
canta con dolce voce mamma mia
E questo è così bello, è proprio il mondo!

Supplica
(di Pier Paolo Pasolini)

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un ‘infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senz’anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo; ed è la confusione
d’una vita rinata fuori della ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Mia madre
(di Giuseppe Garibaldi)

Nelle circostanze più terribili
della mia vita, quando l’oceano ruggiva sotto
la carena, contro i fianchi della mia nave,
sollevata come un sughero; quando le palle
fischiavano alle mie orecchie e piovevano a
me d’intorno fitte come la gragnola, io vedevo
sempre mia madre inginocchiata, immersa e
nella preghiera, ai piedi dell’Altissimo.
Ed in me, quello che trasfondeva quel coraggio,
di cui anch’io rimanevo stupito, era la convinzione
che non poteva cogliermi alcuna disgrazia,
mentre una così santa donna,
un tale angelo pregava per me.

La madre
(di Victor Hugo)

La madre è un angelo che ci guarda
che ci insegna ad amare!
Ella riscalda le nostre dita, il nostro capo
fra le sue ginocchia, la nostra anima
nel suo cuore: ci dà il suo latte quando
siamo piccini, il suo pane quando
siamo grandi e la sua vita sempre.

Finestra illuminata
(di Giovanni Pascoli)

Forse è una buona vedova…
Quand’ella
facea l’imbastitura e il soprammano.,
venne il suo bimbo e chiese la novella.
Venne ai suoi piedi, ella contò del
topo,
del mago… Alla costura, egli, pian
piano,
l’ultima volta le sussurrò: Dopo?
Dopo tanto c’è sempre qualche
occhiello.
Il topo è morto, s’è smarrito il mago.
Il bimbo dorme sopra lo sgabello,
tra le ginocchia, al ticchettio dell’ago.

Poesie per la Festa della mamma in napoletano

Le poesie in napoletano per la Festa della mamma dovrebbero essere recitate da quei bambini che conoscono il dialetto, ma le si può insegnare anche agli altri!

A Mamma
(di Salvatore di Giacomo)

Chi tene ‘a mamma
è ricche e nun ‘o sape;
chi tene ‘o bbene
è felice e nun ll’apprezza
Pecchè ll’ammore ‘e mamma
è ‘na ricchezza
è comme ‘o mare
ca nun fernesce maje.
Pure ll’omme cchiù triste e malamente
è ancora bbuon si vò bbene ‘a mamma.
‘A mamma tutto te dà,
niente te cerca
E si te vede e’ chiagnere
senza sapè ‘o pecché, 
t’abbraccia e te dice:
“Figlio!!!”
E chiagne nsieme a te.

A cchiù sincera
(di Antonio De Curtis-Totò)

Tengo na ‘nnammurata
ca è tutt’ ‘a vita mia.
Mo tene sittant’anne, povera mamma mia!
Cu chella faccia ‘e cera,
sotto ‘e capille janche,
me pare na sant’Anna
cu ll’uocchie triste e stanche.
Me legge dint’ ‘o penziero,
me guarda e m’anduvina
si tengo nu dulore
si tengo quacche spina…

Core ‘e mamma
(di Giovanni Capurro)

So’ mamma! Sta parola è ‘nu dulore
quanno p’ ‘e figlie nun nce sta cchiù ppane.
T’ ‘e strigne mpietto: gioia ‘e mamma, ammore…
forze, se magnarrà quann’è dimane!
Dimane!? e tu te siente squartà ‘o core,
te guardano, chiagnenno, mmiezo ‘e mmane!
Piatà! St’aneme ‘e Ddio cu ‘e carne ‘a fore
mme morono, tremmanno comme ‘e cane!
E ‘st’angiulillo?… Peppeniello mio!
no, nun murì, mamma te tene nzino
nfunnenno ‘e chiante ‘e ricciulille d’oro.
Pe’ carità, v’ ‘o cerco a nomme ‘e Ddio,
sarvate ‘e criature, e si è destino,
Marò! tu lievammenne nzieme a loro!

La poesia di Neruda per la Festa della mamma

Tra le poesie in versi più celebri per la Festa della mamma, anche questa poesia di Neruda, “Mamadre”.

La Mamadre, eccola che arriva
con zoccoli di legno. Ieri notte
soffiò il vento del polo, si sfondarono
i tetti, crollarono
i muri e i ponti,
l’intera notte ringhiò con i suoi puma,
ed ora, nel mattino
del sole freddo, arriva
la mia Mamadre, signora
Trinidad Marverde,
dolce come la timida freschezza
del sole delle terre tempestose,
lanternina
minuta che si spegne
e si riaccende
perché tutti distinguano il sentiero.
Oh, dolce Mamadre
– mai avrei potuto
dire matrigna –
ora
la mia bocca trema a definirti,
perché appena
fui in grado di capire
vidi la bontà vestita di miseri stracci scuri,
la santità più utile:
quella dell’acqua e della farina,
e questo fosti: la vita ti fece pane
e lì ti consumammo
nei lunghi inverni desolati
con la pioggia che grondava
dentro la casa
e la tua ubiqua umiltà
sgranava
l’aspro
cereale della miseria
come se andasse
spartendo
un fiume di diamanti.
Ahi, mamma, come avrei potuto
vivere senza ricordarti
ad ogni mio istante?
Non è possibile. Io porto
il tuo Marverde nel mio sangue,
il cognome
di quelle
dolci mani
che ritagliarono da un sacco di farina
le braghette della mia infanzia,
colei che cucinò, stirò, lavò,
seminò, calmò la febbre,
e, quando ebbe fatto tutto
ed io ormai potevo
reggermi saldamente sulle mie gambe,
si ritirò, cortese, schiva,
nella piccola bara
dove per la prima volta se ne rimase oziosa
sotto la dura pioggia di Temuco.

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Published by
Rossella Giglio

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