Le esitazioni del linguaggio insegnano ai bambini a parlare

imparare a parlare

Mamma cos’è questo?’, ‘Mamma come si chiama quello?’ I bambini che stanno imparando a parlare sono avidi di informazioni, ma non sempre siamo pronti a rispondere alle loro domande e può capitare che il nostro parlare sia accompagnato da qualche esitazione in attesa che ci venga in mente la risposta giusta.

Ebbene, contrariamente a quanto si possa pensare queste pause e incertezze del linguaggio non confondono il piccolo che sta imparando, né gli forniscono un cattivo esempio o lo stimolano alla balbuzie. Anzi, sarebbero proprio le esitazioni del linguaggio ad aiutare i bambini ad imparare a parlare bene.

La scoperta viene dal Baby Lab dell’università di Rochester 1, negli Stati Uniti, una sezione dell’ateneo specializzata nelle prime fasi dello sviluppo umano, all’interno del dipartimento di scienze cognitive. I cui ricercatori, in un esperimento condotto in laboratorio su bambini dai 18 ai 30 mesi, hanno osservato proprio questo: le esitazioni, gli stop, spesso del tutto involontari, di mamma e papà quando parlano ai piccoli, danno loro un segnale preciso che sta per arrivare una nuova informazione, risvegliando così la loro attenzione.
Se, quindi, mentre si è allo zoo con la propria figlia di due anni, per insegnarle i nomi degli animali, si indica la giraffa, dicendo ‘Guarda, ecco la…. mmmm… giraffa‘, non si fa che allertare la bambina che quella parola che tarda ad arrivare è un concetto nuovo, su cui focalizzarsi. E verso i due anni di età, i piccoli sono in grado di utilizzare al meglio questo tipo di ‘aiuto‘ linguistico.
A quell’età sono moltissime le informazioni che i bambini devono immagazzinare quando ascoltano parlare gli adulti, fra cui molte parole che non hanno mai sentito prima. Se il cervello del bambino aspetta fino a che la parola venga pronunciata e poi cerca di capirne il significato, rischia di perdere quello che viene dopo, spiega Richard Aislin, uno degli autori dello studio pubblicato su Developmental Science, insieme a Celeste Kidd e Katherine White. Quindi, ‘più previsioni è in grado di fare chi ascolta su ciò che sta per essere comunicato, meglio riuscirà a comprenderlo‘, chiarisce il professore.
I ricercatori hanno studiato tre gruppi distinti di bambini. Ognuno sedeva in braccio a un genitore davanti ad uno schermo, con un meccanismo in grado di seguire il movimento dell’occhio del piccolo. Due immagini apparivano sul monitor, una familiare – ad esempio un libro – un’altra inventata, cui veniva associato un nome di fantasia. Una voce registrata parlava degli oggetti sullo schermo: quando si interrompeva o esitava, il bambino istintivamente guardava verso l’oggetto sconosciuto, piuttosto che verso quello noto, circostanza che si è verificata nel 70 per cento dei casi.
Lo studio americano sottolinea che il bambino utilizza in modo ottimale le esitazioni del parlare adulto nell’apprendimento del linguaggio quando è già piuttosto grande, verso i due anni. Uno stadio in cui è già in grado di formare frasi rudimentali, mettendo insieme due-quattro parole, e può già contare su un bagaglio di qualche centinaio di vocaboli. Non vale, quindi per i più piccoli.

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Maria Salerno

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