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Matrimonio: per il 53,6% degli italiani è meglio della convivenza

Fedi nuziali

Sposarsi o convivere? Una domanda che oggi si fanno in tanti e le cui risposte sembrano ancora propendere per le nozze. In Italia vince ancora il matrimonio, l’unione benedetta in chiesa o sancita in comune, anche se la convivenza guadagna inesorabilmente punti soprattutto tra chi considera vivere insieme come una prova attendibile prima del matrimonio. Lo afferma il sondaggio condotto da Ing Direct tramite il suo settimanale Voce Arancio dal quale risulta che il 53,6% degli italiani sceglie il matrimonio contro il 46,4% che preferisce la convivenza.

I risultati del sondaggio indicano comunque un rilevante cambiamento di rotta con un divario tra chi preferisce il matrimonio alla convivenza che diventa sempre più stretto. E’ comunque ancora presto per parlare di sorpasso: i dati nazionali sono infatti ancora ben lontani da quelli di altri Paesi europei – come Francia, Germania, Gran Bretagna, Danimarca – dove le coppie che scelgono la convivenza hanno oramai superato quelle che si sposano. Addirittura in Gran Bretagna il nuovo trend è stare insieme ma vivere separati, per conservare i propri spazi e la propria privacy. Secondo l’Istat in Italia solo il 5 per cento delle coppie conviventi non sono coniugate. Si tratta di un numero esiguo, che interessa 637mila persone su una popolazione che sfiora i 60 milioni, ma in deciso aumento dal 2001 al 2007: dal 3,1 al 4,6 del totale delle coppie.

La statistica, comunque, non rende ragione di una forte differenziazione territoriale visto che la cifra del 2 per cento di coppie conviventi al Sud abbatte la media nazionale. Mentre al Nord Est i dati Istat parlano già del 6,8 per cento e del 4,8 al Centro. Inoltre i numeri ufficiali contano solo coloro che per un qualche motivo – ad esempio la richiesta di un certificato di convivenza, il pagamento di una tassa sui rifiuti, l’iscrizione di un ragazzino a scuola – hanno bisogno di interagire con l’amministrazione pubblica. Insomma, l’istituto di statistica fotografa soltanto le situazioni accertate, ma esiste un sommerso di convivenze in atto che non hanno ancora avuto modo o occasione di emergere.

Demografi e sociologi distinguono quattro tipi diversi di convivenze, ognuna delle quali è in aumento per varie cause. Ci sono innanzitutto le convivenze prematrimoniali sostitutive del periodo di fidanzamento: giovani adulti che normalmente valutano di sposarsi in futuro, per mettere al mondo dei figli e che se solo la prova va male non contrae matrimonio. In questo caso il tempo medio della convivenza è tra i due e i cinque anni. Ci sono poi le coppie di fatto dovute a impossibilità a contrarre matrimonio: adulti già sposati e non ancora divorziati; persone di mezza età che non vogliono perdere con un nuovo matrimonio vantaggi pensionistici, fiscali o patrimoniali; coppie omosessuali. Al terzo posto si trovano le cosiddette unioni libere, dovute alla scelta di un particolare stile di vita. E, infine, c’è chi vuole vivere in base a patti di solidarietà alternativi al matrimonio, con unioni civili che prevedono meno diritti, meno doveri.

La tendenza, in ogni caso, è quella di una progressiva diminuzione dei matrimoni: erano 400mila l’anno negli anni Settanta, oggi sono 250mila. Se l’attuale trend dovesse proseguire, nel 2015, infatti, in Italia, le convivenze supereranno i matrimoni, come del resto già avviene nelle grandi città del Nord. Insomma, addio fiori d’arancio? Non credo che la situazione sia così drastica e credo anche che il matrimonio continui a esercitare un grande fascino restando nell’immaginario (soprattutto femminile) come il giorno più importante della propria vita. Infatti sono gli uomini i più propensi alla convivenza rispetto alle donne. Recenti indagini mostrano come il desiderio maschile di andare a convivere batte quello femminile in Olanda (19% del sesso forte contro il 9% delle donne), Germania (16% contro 12%) e Austria ( 27% contro 13%). Una tendenza che trova conferma anche in Italia.

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Alessandra Amorosi

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