Il ciuccio è davvero utile o è qualcosa da utilizzare soltanto nei momenti di crisi, quando per esempio non riusciamo a placare il pianto del nostro bambino?
I pediatri hanno pareri discordanti a questo proposito. Di certo c’è solo che il ciuccio andrebbe usato fino ai 3 anni e non oltre, ma come togliere l’uso del ciuccio ad un bambino piccolo che finisce per configurarsi come una vera e propria dipendenza? Chiunque ne abbia fatto esperienza, infatti, sa che è difficile persino cambiare il tipo di ciuccio, ognuno infatti ha una sua propria struttura estetica, una tettarella e un materiale unico in cui è realizzato. Ciuccio si o no, dunque?
Ciuccio primi mesi
Il ciuccio risponde ad un istinto naturale presente nel bambino già prima della nascita, cioè quello della suzione, già dall’ecografia, infatti, possiamo sorprendere il nostro piccolo intento a succhiarsi il pollice. Succhiare per il bambino non significa solo nutrirsi, ma anche conoscere. E’ infatti con la bocca che per la prima volta il neonato si trova ad esplorare il mondo. Succhiare il ciuccio provoca piacere, gratificazione e appagamento nel neonato perché gli ricorda il seno della mamma e contribuisce a infondergli sicurezza. La suzione provoca la secrezione di endorfine, gli ormoni del benessere e per questo motivo il gesto di succhiare rilassa e calma. Ma se si decide di allattare al seno l’uso del ciuccio dovrebbe essere limitato a tutto il periodo in cui l’allattamento al seno deve consolidarsi, il che richiede generalmente 4 settimane circa (per alcuni bambini può richiedere più tempo) perché la modalità di suzione del ciuccio è molto diversa rispetto a quella del capezzolo, quindi il neonato potrebbe non attaccarsi efficacemente al seno, compromettendo in tal modo il buon avvio dell’allattamento. Nessun problema invece se il piccolo è nutrito con latte artificiale, dal momento che la tecnica di suzione di ciuccio e biberon sono identiche.
Pro e contro del ciuccio
Il ciuccio ha una forte valenza consolatoria, molte volte il bambino strilla e nulla sembra calmarlo, poi arriva il ciuccio e tutto passa quasi per magia. Il ciuccio è simile al capezzolo, ecco perché quando la mamma non è presente esso rappresenta un ottimo surrogato, qualcosa che contribuisce a eliminare il senso di vuoto che la – seppur momentanea – assenza della madre può determinare. Inoltre molti studi hanno messo in luce come l’uso del ciuccio durante il sonno garantisce una protezione ulteriore contro il rischio SIDS (sindrome della morte in culla che può colpire, sia pure raramente, i bambini nel primo anno di vita durante il sonno): il bambino, succhiando, non va incontro alle apnee notturne e non riesce a mettersi nella posizione prona (che sembra costituire un fattore di rischio).
Ma utilizzare il ciuccio come unico antidoto ai disagi del bambino dandoglielo anche quando non è lui a cercarlo oppure ogni volta che piange o fa i capricci alla lunga potrebbe nuocere al piccolo che finisce per diventarne dipendente. Il ciuccio non va intinto nel miele o nello zucchero perché questo potrebbe determinare l’insorgenza di carie o altri problemi alla bocca. Contrariamente a quel che si sente molto spesso il ciuccio non provoca danni né ai denti né alle arcate dentarie, (più pericoloso è il pollice) purché usato fino ad una certa età che di solito non superi i 3 anni. A quel punto, se il bambino non dovesse abbandonare spontaneamente il ciuccio, dovremmo cercare di incoraggiare il suo abbandono limitandone l’uso alle cosiddette situazioni critiche: di notte per esempio o quando la mamma non c’è! L’uso prolungato del ciuccio può influire sulla normale crescita del palato, dei denti e dei muscoli facciali. Inoltre tenere continuamente qualcosa in bocca mentre si parla può determinare difetti di pronuncia.