Ansia e depressione: i mali del presente e del futuro

Ansia e depressione

Ansia e depressione saranno le malattie del 2000, si diceva a fine ‘900; bisogna dire che ci hanno preso, infatti il benessere e la modernità hanno col tempo soddisfatto tutti i bisogni primari, fino a farci sentire sazi di qualsiasi cosa, tanto da non sapere più cosa desiderare. Perché, se esiste una forma di depressione dovuta alla perdita di una persona cara o ad un licenziamento, così come è diffusa la depressione post partum per le donne, è anche vero che un gran numero di persone sono depresse senza avere fondamentalmente dei problemi, anzi, spesso potrebbero avere una vita perfetta. Purtroppo la percentuale maggiore di pazienti affetti da questa malattia è costituita da donne, soprattutto tra i 40 ed i 49 anni di età.

Nuovi studi hanno portato anche in evidenza come la depressione colpisca circa il 27% della popolazione europea trai 15 ed i 17 anni. Quindi è proprio lo stato di perfezione della società che provoca vuoti affettivi e sociali che poi portano a crisi depressive: infatti le persone che soffrono di questa malattia vivono per lo più nei paesi con alto grado di civilizzazione, come la Scandinavia, la Germania, il Giappone e o l’Australia, dove peraltro si registra un alto tasso di suicidi. Che fare dunque? Se vivere in una società civile è pericoloso per la nostra salute mentale, vuol dire che stiamo sbagliando tutto?
Ci sono dei ragionamenti importanti da fare. Dal punto di vista della salute vivere in un ‘mondo perfetto’ è sicuramente positivo, visto che si hanno a disposizione le migliori attrezzature e il personale più qualificato per curarsi, ma al tempo stesso la società si differenzia dalla comunità proprio per i suoi caratteri individualistici e per la sua spietatezza: in una società avanzata non c’è tempo per i problemi esistenziali di una persona, bisogna lavorare, produrre e svagarsi senza pensieri per buttare via lo stress accumulato. Il resto non può essere contemplato. L’uso di farmaci come cura è allora un palliativo, nonostante circa il 70% dei pazienti sottoposti a cure farmacologiche reagiscano positivamente. Il problema secondo me è un altro: guarire con le medicine una forma di malattia mentale è come voler buttare tutti i panni dentro l’armadio e far sembrare che la camera sia ordinata. Si dovrebbe lavorare più sul perché le persone sono depresse piuttosto che sul come curarle, però è forse un processo troppo lungo e controproducente per la società moderna ed efficiente, quindi meglio evitare. Ma è in gioco la nostra salute, soprattutto quella delle donne.

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