Wislawa Szymborska: poesie d’amore per ricordare la poetessa scomparsa

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Oggi possiamo aprire la nostra giornata con alcune tra le più belle e più famose poesie d’amore scritte da Wislawa Szymborska, la poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996. Una delle poetesse più importanti per la cultura polacca e non solo. Nacque nel 1926 e si è spenta ieri all’età di 88 anni.

Wislawa Szymborska era famosa per le sue poesie dalla profondità disarmante, parole smplici, metafore comuni che descrivevano in pochi versi realtà drammatiche di un vissuto reale e di un mondo spesso ingiusto.

Le poesie d’amore dell’autrice polacca hanno qualcosa di davvero profondo, sono un susseguirsi di sensazioni che rappresentano l’amore nelle sue numerose sfaccettature, un amore femminile che lei, meglio di molte altre poetesse, sapeva descrivere alla perfezione.

  • Gli sono troppo vicina perché mi sogni.
    Non volo su di lui, non fuggo da lui
    sotto le radici degli alberi. Troppo vicina.
    Non con la mia voce canta il pesce nella rete.
    Non dal mio dito rotola l’anello.
    Sono troppo vicina. La grande casa brucia
    senza che io chiami aiuto. Troppo vicina
    perché la campana suoni sul mio capello.
    Troppo vicina per entrare come un ospite
    dinanzi a cui si scostano i muri.
    Mai più morirò così leggera,
    così fuori dal corpo, così ignara,
    come un tempo nel suo sogno. Troppo,
    troppo vicina. Sento il sibilo
    e vedo la squama lucente di questa parola,
    immobile nell’abbraccio. Lui dorme,
    più accessibile ora alla cassiera d’un circo
    con un leone, vista una sola volta,
    che non a me distesa al suo fianco.
    Per lei ora cresce in lui la valle
    con foglie rossicce, chiusa da un monte innevato
    nell’aria azzurra. Io sono troppo vicina
    per cadergli dal cielo. Il mio grido
    potrebbe solo svegliarlo. Povera,
    limitata alla propria forma,
    ed ero betulla, ed ero lucertola,
    e uscivo dal passato e dal broccato
    cangiando colori delle pelli. E possedevo
    il dono di sparire agli occhi stupiti,
    ricchezza delle ricchezze. Vicina,
    sono troppo vicina perché mi sogni.
    Tolgo il braccio da sotto la sua testa,
    intorpidito, uno sciame di spilli.
    Sulla capocchia d’ognuno, da contare,
    sono seduti angeli caduti.
  • Un amore felice. E’ normale?
    è serio? è utile?
    Che se ne fa il mondo di due esseri
    che non vedono il mondo?
    Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,
    i primi qualunque tra un milione, ma convinti
    che doveva andare così – in premio di che? Di nulla;
    la luce giunge da nessun luogo –
    perchè proprio su questi e non su altri?
    Ciò offende la giustizia? Sì.
    Ciò infrange i princìpi accumulati con cura?
    Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.
    Guardate i due felici:
    se almeno dissimulassero un po’,
    si fingessero depressi, confortando così gli amici!
    Sentite come ridono – è un insulto.
    In che lingua parlano –
    comprensibile all’apparenza.
    E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
    quei bizzarri doveri reciproci che si inventano –
    sembra un complotto contro l’umanità!
    E’ difficile immaginare dove si finerebbe
    se il loro esempio fosse imitabile.
    Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
    di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
    chi vorrebbe restare più nel cerchio?
    Un amore felice. Ma è necessario?
    Il tatto e la ragione impongono di tacerne
    come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
    Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
    Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
    capita, in fondo, di rado.
    Chi non conosce l’amore felice
    dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.
    Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.
  • Amore a prima vista

    Sono entrambi convinti
    che un sentimento improvviso li unì.
    È bella una tale certezza
    ma l’incertezza è più bella.
    Non conoscendosi, credono
    che non sia mai successo nulla fra loro.
    Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
    dove da tempo potevano incrociarsi?
    Vorrei chiedere loro
    se non ricordano –
    una volta un faccia a faccia
    in qualche porta girevole?
    uno ‘scusi’ nella ressa?
    un ‘ha sbagliato numero’ nella cornetta?
    – ma conosco la risposta.
    No, non ricordano.
    Li stupirebbe molto sapere
    che già da parecchio tempo
    il caso giocava con loro.
    Non ancora pronto del tutto
    a mutarsi per loro in destino,
    li avvicinava, li allontanava,
    gli tagliava la strada
    e soffocando una risata
    con un salto si scansava.
    Vi furono segni, segnali,
    che importa se indecifrabili.
    Forse tre anni fa
    o lo scorso martedì
    una fogliolina volò via
    da una spalla a un’altra?
    Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
    Chissà, forse già la palla
    tra i cespugli dell’infanzia?
    Vi furono maniglie e campanelli
    su cui anzitempo
    un tocco si posava su un tocco.
    Valigie accostate nel deposito bagagli.
    Una notte, forse, lo stesso sogno,
    subito confuso al risveglio.
    Ogni inizio infatti
    è solo un seguito
    e il libro degli eventi
    è sempre aperto a metà.

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